La prossimità ha la forma... di un toast!

Il 7 gennaio, quando tutti riprendevano la scuola o il lavoro, io ho portato la mia bimba di 3 anni mezzo in ospedale per un'endoscopia programmata da qualche settimana per accertare una sospetta celiachia. 

È stata davvero coraggiosa, considerato che avrebbero dovuto metterle un accesso venoso per la sedazione e che l'ultima esperienza che ha avuto di un prelievo è stata al limite del tragico e dell'horror. Partiamo nel buio e sotto la pioggia. 

Trovo parcheggio per miracolo dentro all'ospedale, la sosta dura due ore, penso che appena possibile scenderò a spostare la macchina ma intanto salgo in reparto e comunico la nostra presenza. Ci chiamano delle dottoresse per una prima visita, comunico la mia esigenza ma loro mi indicano di andare dalle infermiere per mettere l'accesso venoso. Questa volta va davvero molto meglio: l'infermiera è dolce e gentile, cerca di metterla a suo agio e tra un cartone e una chiacchiera mette la farfallina al primo colpo: una lacrima scende ma nulla di traumatico. Andiamo in camera ad attendere che il medico predisponga la discesa nella sala preoperatoria. Nel letto a fianco di quello della mia bimba si sistema una ragazzina dallo sguardo simpatico, molto magra, accompagnata da mamma e papà. Penso a quanto avrei voluto avere anche io mio marito lì accanto ma non era possibile: tolto il lavoro, è rimasto con l'altro figlio più piccolo a casa. In ogni caso, l'infermiera quando entra e vede che c'è più di un genitore per paziente spedisce fuori l'altro, solitamente i padri. 

Penso: "Poveri padri, spediti fuori per chissà quale motivo visto che nessuno di loro intralciava nulla. Allontanati dai loro figli che presto scenderanno in sala preoperatoria come vengono allontanati da tanti altri contesti... E il risultato si vede". Poco dopo è il nostro turno, scendiamo e attendiamo una mezz'oretta in sala preoperatoria leggendo un libro di fiabe, ogni tanto una lacrima scende ma una carezza e un abbraccio riportano tutto apposto. L'endoscopista pediatrico mi spiega cosa accadrà, l'anestesista mi fa qualche domanda, le mascherine in faccia a mia figlia non piacciono: chi c'è dietro? Così si mostrano e lei li guarda con occhio attento, forse è proprio questo che per qualche mese, per parecchi mesi, si è voluto nascondere... 

L'attenzione all'altro, o mal direzionata, ma anche qui pensieri random di una mamma in attesa. Quando capisce che la porteranno via e io non sarò con lei, una componente dell'equipe, alzando gli occhi al cielo, dice alle colleghe: "Sta già piangendo!". Questo commento mi infastidisce molto, che altro dovrebbe fare una bambina di 3 anni e mezzo, con un accesso venoso, che capisce fino ad un certo punto quanto sta accadendo perché quasi nessuno di voi si è preoccupato di interagire con lei, di farsi conoscere da lei? 

Vorrei rispondere: "Lo farebbe anche lei se fosse nei suoi panni!". Ma non mi curo di quella donna, mi curo di mia figlia, la abbraccio, la coccolo. Le danno un calmante, l'effetto è poco niente. Le danno una seconda dose, qualcosa fa. Ma per portarla via devono sedarla e anche quando sembra che ce l'abbiamo fatta lei si riprende. Altra dose, si addormenta. Inizio a recitare il Rosario. Alla seconda decina entrano mamma e figlia di cui avevo scritto sopra, mi guardano incuriosite, le saluto e auguro che vada tutto bene. Ci scambiano un sorriso di vicinanza, siamo lì per le nostre figlie. Tre decine del Rosario recitate e il medico esce, mi dice che è andato tutto bene ma che qualcosa c'è, la biopsia ci dirà l'entità. Va bene, l'importante è che me la riportino. Poco dopo saliamo in camera e quando pian piano si sveglia le sto accanto, la coccolo, le lascio il suo spazio (la mia bimba a volte è un po' selvatica dico io, ma in realtà ha solo bisogno di capire come muoversi nella situazione in cui sta). 

Sale anche l'altra, lei ha una cannula nel naso attaccata ad un monitor perché devono controllare anche altri parametri. Anche per loro è andato tutto bene. In tutto questo arriva e passa l'ora del pranzo e chissà la mia macchina dove sarà visto che non mi hanno permesso di scendere a spostarla. Ho proprio bisogno di mangiare così chiedo a questa mamma se sa dell'esistenza di macchinette al piano. Purtroppo non ce ne sono mi dice, bisogna andare al bar che sta sotto. Ok, sono sola e non mi posso allontanare dalla bimba, quindi sono un vicolo cieco e lei, con un'estrema gentilezza mi dice: "Ci penso io!". Chiama il marito al telefono che stava in sala d'attesa e che poco prima le aveva dato il cambio per scendere a mangiare e lo spedisce (il tutto con molto garbo, niente signorina Rottermeier) al bar per me. 

Io sono commossa: chiedo un toast, un'acqua e un caffè. Lui parte in missione senza fiatare. Lei prosegue dicendomi che spesso si è trovata nei miei panni, in ospedale per accertamenti della figlia, sola senza il marito che doveva lavorare, con la fame ad un certo punto e nulla in un raggio accettabile di metri che fosse commestibile. Quanto avrebbe voluto che qualcuna le chiedesse se volesse anche solo un the caldo (risaputo che quello dell'ospedale è il migliore anche se nessuno conosce il segreto della miscela). Capiva come stavo. Qualcosa che va oltre la gentilezza e la buona educazione. 

È stata prossima, come diciamo noi del Talento. 

Dopo mezz'ora di coda al bar il marito arriva in stanza con tutto, ha compiuto il suo dovere, torna nella saletta d'aspetto prima che l'infermiera lo veda. Li ho ringraziati finché non sono uscita dall'ospedale e ho ricordato loro e la figlia in preghiera. Nel pomeriggio siamo tornate a casa, la macchina non era stata rimossa nonostante la scadenza del parcheggio. Mi sono proprio sentita accompagnata. Mio marito controllava sul sito del comune tra le macchine rimosse se ci fosse la targa della nostra, è stato il suo modo di esserci, oltre a molti altri. Ora anche la prossimità ha una nuova forma, reale ancora di più e a portata di mano. Metterla in pratica ora avrà un nuovo sapore!

 Giorgia


 

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