17 febbraio 2025

La gioia e l'importanza di seguire il Talento

Era il 2002, avevo 31 anni e insieme a mio marito Gabriele, trentenne, aspettavamo con emozione il nostro primo figlio. Ci eravamo sposati due anni prima: io lavoravo, mentre lui studiava ingegneria informatica a Pisa e, tra mille vicissitudini familiari, non aveva ancora terminato gli esami. Grazie ai miei genitori, avevamo una piccola casa tutta per noi e il mio stipendio bastava a farci sentire al sicuro.
La gravidanza è stata un periodo sereno, nonostante le nausee e qualche complicazione nelle ultime settimane, aggravata dal caldo torrido dell’estate del 2003. Ma il vero banco di prova è arrivato dopo: il mio latte scarseggiava, le coliche di Matteo ci tenevano svegli notte dopo notte, e quella nuova vita in tre, così sognata, si rivelava più complessa di quanto immaginassi. Credevo che fare la mamma fosse qualcosa di istintivo, naturale, ma mi sono presto resa conto che non era proprio così.


Mia madre, con tutto il suo amore, faceva del suo meglio per aiutarmi, ma la sua esperienza non sempre si adattava alla mia realtà. La mamma di Gabriele non c’era più da tempo e noi non avevamo altri familiari a cui affidarci. Le mie amiche, ancora senza figli, non potevano comprendere le mie difficoltà e così, piano piano, ci siamo ritrovati isolati, immersi nelle nostre insicurezze di neogenitori.

Mi sentivo inadeguata. Se già con un figlio mi sembrava di non farcela, come avrei potuto crescerne altri, come tanto desideravamo? Mi tornavano in mente i racconti di mia madre: quando ero bambina, il tessuto sociale era diverso. I vicini di casa erano più presenti, ci si aiutava senza bisogno di chiedere, la parrocchia e la famiglia allargata erano punti di riferimento solidi. Oggi, invece, viviamo sempre di corsa, senza nemmeno accorgerci che, proprio accanto a noi, c’è una coppia con un neonato che forse sta affrontando le stesse difficoltà che abbiamo vissuto noi.

Col tempo, con tanta pazienza e con il sostegno reciproco, abbiamo superato i momenti più difficili. La nostra famiglia è cresciuta: dopo Matteo, sono arrivate Elisa e Chiara, e la vita ha continuato a scorrere, tra imprevisti, gioie e piccole conquiste quotidiane.
Un anno fa, però, mi si è presentata un’opportunità inaspettata. Un’amica, conosciuta solo da poco, mi ha invitata a partecipare a un corso che sembrava rispondere proprio a quelle domande che, anni prima, mi avevano tolto il sonno. Era un percorso sul talento femminile, un’occasione per riflettere sulla maternità, sul ruolo di moglie e di donna nella società di oggi.

Ho deciso di iscrivermi, con la speranza di imparare qualcosa da poter trasmettere ai miei figli, per aiutarli, un giorno, nel loro viaggio da genitori. E lì, in quel contesto fatto di ascolto e condivisione, ho scoperto un mondo che non pensavo esistesse. Ho incontrato altre mamme con le mie stesse paure, donne che avevano vissuto le mie difficoltà e che, come me, cercavano risposte. Ma soprattutto, ho trovato persone capaci di offrirci strumenti concreti, di restituirci fiducia, di aiutarci a comprendere che il nostro desiderio di essere madri, mogli e donne per gli altri poteva trovare un equilibrio, senza sensi di colpa o incertezze.

Frequentare le lezioni non è stato semplice: la stanchezza serale spesso prendeva il sopravvento, ma ogni incontro era un piccolo regalo che facevo a me stessa. E alla fine del percorso, la sorpresa più bella: conoscersi di persona, abbracciarsi, sentirsi parte di una rete di donne che, pur non essendosi mai viste prima, si capivano al volo. È stata una vera iniezione di coraggio, un momento di crescita profonda e di scambio autentico.

Grazie, Rachele, e grazie a tutte le donne che hanno reso possibile questo viaggio. Perché la femminilità si esprime in tanti modi, ma è nella maternità che trova la sua massima forza: un dono d’amore, di dedizione e di coraggio. È un viaggio fatto di luci e ombre, di certezze e di dubbi, in cui ogni madre scopre dentro di sé risorse inaspettate, imparando a donarsi senza riserve.

 

Ilaria

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